LA STORIA – CASA FAMIGLIA

LA STORIA

Casa Famiglia per malati di Aids ​

Casa Famiglia per malati di Aids - La Storia

Nel mese di febbraio del 1985 uno degli ospiti della Comunità di S’Aspru, Gianfranco, cominciò a presentare strani sintomi che solo l’intuizione dei medici dell’Ospedale di Thiesi (SS), imputarono al virus dell’HIV (al tempo denominato L.A.V.) che determinava la malattia dell’AIDS.

Allora non si conosceva abbastanza il fenomeno e quando Gianfranco si ammalò fu un vero trauma per un ragazzo di 26 anni. Non solo era una “vittima” dell’eroina, ma era il primo caduto, nell’Isola, a causa della sindrome da immunodeficienza, la pandemia del Ventesimo Secolo.

Quello fu un momento drammatico per chi operava e viveva nelle Comunità, data l’assoluta novità della malattia e le scarse informazioni in merito che portavano all’esito infausto sul malato. Tutti i ragazzi presenti nelle comunità furono sottoposti al test che evidenziò che ben il 52% di loro era portatore del virus.

Tuttavia le motivazioni originarie non vennero smosse, anzi, l’attenzione all’Uomo, il camminare al suo fianco riconoscendo nell’altro il proprio fratello, hanno permesso che l’impegno non venisse meno e si affrontasse la nuova sfida lanciata dall’AIDS.

Gianfranco muore il 6 dicembre 1985: secondo morto di AIDS in Sardegna, primo fra le Comunità e davanti allo sguardo impotente di medici e volontari della comunità di Siligo. Altri ragazzi nel corso degli anni hanno purtroppo subito il tragico destino di soccombere alla malattia.

Eclatante il caso di Marco, che, morto di AIDS dopo tre anni di permanenza nella Comunità di S’Aspru, non è stato voluto dalla famiglia e riposa nel piccolo cimitero di Siligo (SS), simbolo di accoglienza fra le comunità degli uomini.

Proprio il fatto che il fenomeno colpisse e spesso portasse alla morte i giovani delle comunità Padre Salvatore Morittu e l’Associazione Mondo X – Sardegna decisero di andare incontro anche ai malati di AIDS e così fin dall’inizio degli anni ’90, si iniziò a paventare l’idea di far abitare il convento della piazza Sant’Antonio dai ragazzi colpiti dalla malattia dell’AIDS con la certezza che proprio quel convento era in grado di ospitare inizialmente insieme sia i frati che i malati.

Il sogno era vedere quel luogo come una Casa Famiglia per tutti quei giovani di cui sentiva parlare e che in quegli anni venivano seguiti dai volontari nei reparti Malattie Infettive di Sassari e Cagliari, cercando di star loro vicini anche fino al loro ultimo respiro in un ambiente che poteva dare loro quel calore che solo la “FAMIGLIA” può dare, in una casa, con altre persone intorno a lui, con un contesto umanamente e spiritualmente caldo e solidale.

Da qui il progetto di realizzare la Casa Famiglia di Sant’Antonio Abate.

Chiaramente, così come per le Comunità, il primo sguardo era caduto sulle case dei Frati affinchè una di esse   diventasse la Casa per i ragazzi che erano stati colpiti dalla malattia dell’AIDS e piano piano il sogno, diventava sempre più reale.

L’atto formale di Comodato è stato firmato il 15.12.1995 tra l’Ente Provincia di Sardegna di Santa Maria delle Grazie dei Frati Minori e l’Associazione Mondo X – Sardegna per la difesa dell’uomo e riguardava i locali del convento di S. Antonio Abate, sito in Sassari nella piazza S. Antonio; successivamente vennero annessi quelli acquisiti dal Demanio dello Stato, la parte del Convento che in passato aveva ospitato i primi Frati Serviti e che era stata anche Caserma Militare denominata “Duca di Monferrato”; la parte del terreno che oggi è il giardino della Casa Famiglia, con una piccola porzione di fabbricato attigua al terreno stesso; il locale di accesso al giardino (attuale orto) e cortile venduto ai Frati Minori di Santa Maria delle Grazie e  la cosiddetta “Casa Masala”. I locali comprendevano parte della casa stessa, l’androne di accesso, due bagni (uno al primo piano e uno al secondo) situati al numero civico 13 della piazza Sant’Antonio.

Monsignor Salvatore Isgrò, ma ad essere sinceri, tutta la Chiesa Turritana, fu entusiasta di questo progetto e nel 1985 si mise in moto una straordinaria gara di solidarietà per dare una risposta adeguata a un problema serio e urgente, trasformare cioè il Convento in quella che oggi è la Casa Famiglia per malati di AIDS, tuttora unica struttura del suo genere, in Sardegna.

Ma la risposta più commovente, fu in quegli anni in cui il “sogno” prendeva forma, la risposta della gente di Sassari innanzi tutto, ma anche della gente dei paesi della provincia, dell’intera regione: tutti dimostravano la loro generosità e la loro solidarietà dando vita a iniziative di supporto alla costruzione della Casa Famiglia.

L’edificio fu demolito e ricostruito a tempo di record grazie a centinaia di mani generose che avevano costituito il patrimonio di un miliardo e 800 milioni di lire, serviti per tirar su la Casa Famiglia, quasi nascosta, attaccata al muretto che delimita la ferrovia, in fondo a un vicolo, quasi a rappresentare la discrezione, la volontà di stare in un cantuccio. Ogni mobiliere di Sassari si offrì di arredare una delle dodici camere della casa.

L’Associazione aveva, a quel punto, necessità di “specialisti”: persone che gratuitamente e disinteressatamente si dovevano formare per impegnarsi non solo nelle corsie del reparto Malattie Infettive, per seguire i ragazzi colpiti dal virus HIV.

Nel 1996, fu messa a punto l’idea di organizzare un corso per preparare i volontari che avrebbero dovuto operare nella casa Famiglia nella consapevolezza di quanto fosse importante restituire qualità di vita a tutti quei ragazzi che soffrivano nella malattia, donar loro speranza per lottare e aggrapparsi alla vita: erano loro, coi loro silenzi, con la loro fame di affetto a stimolare l’impegno nel campo dell’AIDS, malattia che allora, ma ancora oggi, suscita molte paure.

Il corso di formazione per volontari ebbe inizio nel mese di aprile 1997 e doveva costituire il gruppo di avvio al progetto della Casa Famiglia per malati di AIDS. Le richieste di adesione al corso furono circa 200 ma poiché il programma formativo era promosso dal l’allora Ministero della Sanità, quel Ministero imponeva, per ragioni organizzative e didattiche, un limite numerico di partecipanti, che dopo una selezione ed un colloquio furono stabiliti in 40, benchè molti di più avessero presupposti e caratteristiche tali da poter partecipare almeno ad altri due moduli formativi.

Il percorso didattico durò oltre un anno e fu tenuto da docenti qualificati appartenenti a diverse aree professionali: numerosi medici specialisti, ma soprattutto medici e infermieri delle malattie infettive; operatori del SERT; psicologi di larga fama, responsabili di altre case famiglia con esperienze nel settore; esponenti dell’assessorato regionale alla sanità per la parte legislativa, esponenti del mondo del volontariato per affrontare tutti i problemi del settore.

L’organigramma stilato era stato portato a compimento con la fine del corso, e all’inizio dell’estate del 1998 si era nella condizione di accogliere i primi ospiti: la Casa Famiglia S. Antonio Abate per i malati di AIDS, fu inaugurata il 27 giugno1998, a Sassari, ancora una volta in un convento ceduto in uso dai Frati Minori di Sardegna.

In quella prima fase il coordinamento della casa e del progetto fu affidato a Suor Angela Pedduzza, Suora della Carità proveniente da Nuoro, che aveva diretto per vent’anni la scuola per le infermiere, e che esercitava la professione infermieristica da trentacinque anni, che era stata trasferita di recente presso le Cliniche Universitarie di Sassari.

I volontari si alternavano in turni per la preparazione dei pasti, la pulizia dei locali, l’accompagnamento per le visite mediche di controllo e, da un primo, solo ospite, nel volgere di alcuni mesi i ragazzi diventarono due, tre, fino a raggiungere in un anno il numero dei posti letto disponibili, cioè le dodici presenze.

Nel frattempo, nell’autunno del 1999 la Comunità dei Frati Minori residente presso il Convento di Sant’Antonio Abate, composta da quattro frati, lasciò i locali del Convento fino ad allora occupati, per trasferirsi presso il convento di San Pietro in Silki, nel Santuario della Vergine delle Grazie.

Ben presto la mera volontarietà, l’entusiasmo, il dono del tempo libero da parte dei volontari non furono sufficienti: era necessaria una dotazione di organico fisso a garanzia della copertura delle 24 ore di assistenza all’interno della Casa.

I primi operatori, già facenti parte dell’Associazione Mondo X – Sardegna, hanno dato vita, nel 2002 alla cooperativa sociale ARIELE, braccio operativo dell’Associazione.

La struttura nasce come Cooperativa Sociale a r.l., iscritta regolarmente all’Albo Regionale delle Cooperative Sociali, con determinazione n. 1610/Lav. Del 10 giugno 2004.   

Senza tema di smentita si può affermare che oggi più di quel 1980 quello che sembrava un sogno irraggiungibile non solo si è realizzato, ma continua, ogni giorno, a realizzarsi fra le mura di un antico convento. Questo grazie alla la presenza attiva di validissimi operatori socio-sanitari sempre impegnati in periodici aggiornamenti alla loro professione; grazie ancora  al supporto di un sempre maggior numero di volontari che abbracciano gli scopi e le finalità del Progetto Casa Famiglia Sant’Antonio Abate, ma, soprattutto, grazie a quanti quotidianamente, spesso silenziosamente e in maniera invisibile animano con amore e solidarietà la vita degli ospiti, vera ed unica ricchezza di un mondo quasi nascosto in un angolo della Città.